Io e l’ipertensione polmonare, una vecchia storia…
La mia storia non è per nulla diversa da tutte quelle che ho letto nel bimestrale dedicato alle persone affette dall’ipertensione polmonare. L’unica differenza, forse, sta nel fatto che io ho conosciuto la malattia più meno all’età di otto anni grazie a un cardiologo di Thiene che si è accorto della mia condizione.
Prima di allora i medici e i miei genitori mi avevano sempre detto che ero affetta da asma, ma nessuno aveva sospettato che la mia fosse proprio questo genere di malattia.
Essendo molto piccola non pensavo assolutamente ci fosse una differenza tra me e gli altri bambini della mia età, andavo a corsi di sci, nuoto ecc. Poi qualche anno dopo ci comunicarono che la causa del mio fiatone e del mio affaticamento era proprio un’ipertensione arteriosa polmonare.
Per me fu difficile accettare la cosa, all’inizio. Non ho più potuto frequentare alcuna attività sportiva, ero esonerata anche da educazione fisica sia alle scuole elementari, che alle scuole medie e al liceo.
Inoltre si presentarono alcuni problemi annessi alla malattia che per molti anni mi avrebbero fatta sentire assolutamente inadeguata o quantomeno molto diversa dagli altri miei coetanei che invece giocavano liberamente senza problemi.
Dovevo caricare lo zainetto nell’ascensore per salire al piano dove stava la mia classe e i ragazzi più grandi mi chiedevano perché e io mi sentivo molto in imbarazzo di fronte a loro. Quando i miei compagni andavano in gita in montagna io non potevo partecipare, oppure gli insegnanti mi accompagnavano in auto senza che io partecipassi al tragitto con loro. Quando avevo più o meno 12 anni le mie amiche andarono in campeggio e io restai a casa perché sul programma c’erano molte escursioni in montagna e inoltre i miei genitori erano preoccupati che, visto che ero così piccola, non mi sarei mai ricordata di prendere i miei farmaci. Le visite a Bologna erano, poi, un gran fastidio perché mal sopportavo di fare tutta quella strada (essendo io vicentina). Non sopportavo per niente tutto quel lungo tragitto per l’ospedale, erano quattro ore nelle quali mi chiedevo perchè dovevo andare così lontano per andare a fare le mie visite. Anche crescendo non fu semplice perché, come tutte le ragazze, volevo andare in discoteca, ma purtroppo questa mi stancava e diventava per me una fatica più che un divertimento.
Adesso ho 18 anni e, un decennio dopo, ho imparato a convivere con l’ipertensione e a immaginarla come una sorta di vantaggio. Qualche volta mi viene perfino da ridere guardando i miei compagni del liceo che corrono in cortile, al freddo. Questa malattia e tutte le sue difficoltà è stata per me sempre una spina nel fianco perché di solito ai bambini piace correre, giocare, saltare… Io invece mi fermavo sempre col fiatone, dovevo farmi aiutare dai miei amici per le lunghe passeggiate, e questo non era facile, ma ora ho la consapevolezza che la mia malattia mi accompagnerà per sempre e non serve a nulla abbattersi e lamentarsi di continuo, bisognerebbe invece trovare i lati positivi delle situazioni che dobbiamo affrontare, anche se queste coinvolgono ogni sfera della nostra quotidianità e ci creano delle problematiche non indifferenti. L’unico consiglio che mi sento di dare a chi scopre di essere affetto da questa patologia è di non lasciarsi sopraffare dalle difficoltà annesse all’ipertensione. All’inizio può essere difficoltoso abituarsi e adattarsi alla malattia, specie perchè gli impedimenti sono vari e possono presentarsi di continuo. Dopo un po’ però ci si abitua e si impara a conoscere il proprio corpo, i propri limiti; è dunque necessario fronteggiare la nostra condizione, credo che questo ci dia anche una consapevolezza del nostro effettivo valore, delle nostre capacità.
Vorrei ringraziare tutti quelli che mi hanno assistito durante questi lunghi anni, come ad esempio tutto il personale dell’Ospedale Sant’Orsola-Malpighi che mi seguono da quando ho undici anni. L’ospedale bolognese è diventato per me qualcosa di assolutamente abituale, quando arrivo mi sento, ora, a mio agio, come se fossi a casa. Inoltre ringrazio i miei genitori che hanno sempre affrontato le mie visite con pazienza e costanza e che mi hanno appoggiato nei momenti difficili.